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lunedì

Francesco Remotti "Contro Natura. Una lettera al Papa

Laterza 2008
Il libro si può così riassumere: chi vuol fare l'antropologo non deve dar
retta a Ratzinger.
La religione cristiana e quella mussulmana infatti basano la loro pretesa di
universalità, ovvero di essere ognuna la religione valida per l'intero genere umano, sull'assunto che i loro precetti coincidono con ciò che ordina la natura umana - per cui la persona che abbraccia una di queste due religioni vivrebbe nel modo più naturale possibile.
Ma Remotti ha buon gioco a confutare questa pretesa sia nel campo teorico che nel campo empirico. Nel campo teorico, fa notare che coloro che si ostinano a cercare la natura umana universale sepolta sotto i costumi particolari di un tempo ed un luogo dati si trovano nell'impossibilità di stabilire quale sia questa natura - non possono essere sicuri che quella che appare loro la natura umana non sia in realtà un costume particolare, che sembra naturale ed universale solo a causa dell'abitudine.
Inoltre, mentre chi non ha quest'ossessione può tranquillamente tollerare costumi diversi dai propri, chi vuole porsi al servizio della natura umana così intesa diventa facilmente intollerante, in quanto si ritiene investito di fare trionfare ciò che è eterno su ciò che è caduco, l'universale sul
particolare.
Remotti avverte che ci sono intolleranti più sofisticati, come Hegel ed i suoi discepoli, i quali non cercano verità e strutture sociali eterne, ma sono convinti di conoscere le leggi che eternamente guidano l'evoluzione storica, e di poter perciò stabilire una gerarchia di verità e strutture
sociali. Qui la ricerca di qualcosa di immutabile si è solo alzata di livello, ed anche qui si giunge facilmente all'intolleranza.
La disputa tra i sostenitori della natura e quella del costume è antica - Remotti la fa risalire a Pascal (sostenitore del costume) ed a Cartesio (sostenitore della natura). Mi permetto di aggiungere che alla fine del '600 Hume aveva espresso quella che in seguito sarebbe stata chiamata "Legge di Hume", ovvero che da una frase con il verbo "essere" non si può derivarne una con il verbo "dovere". Quindi, anche se si stabilisse com'è fatta una cosa in natura (la frase con il verbo "essere"), questo non ci direbbe comunque come dobbiamo agire (la frase con il verbo "dovere"). Passando dal campo teorico a quello empirico, il campo in cui più si parla di "natura" è quello delle politiche familiari, complice anche l'infelice formulazione del primo comma dell'Articolo 29 della Costituzione Italiana: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio."
In realtà, le famiglie nel mondo sono di così tanti tipi diversi (e non mancano i casi in cui i coniugi possono essere tutti del medesimo sesso) che gli antropologi hanno rinunciato a darne una definizione unitaria valida per ogni tempo e luogo - e Remotti avverte che gli esempi del suo libro non sono affatto esaurienti! La soluzione che propone Remotti è quella di ispirarsi a Wittgenstein, il quale riteneva lecito descrivere un concetto sulla base di esempi tra i quali si riconosce "una somiglianza di famiglia", anziché dandone una definizione formale, che potrebbe dimostrarsi troppo restrittiva. Allo stesso modo, l'antropologo deve rinunciare all'idea di definire una volta per tutte cos'è una famiglia, e dire che numerose formazioni sociali vengono da noi comprese nel concetto di "famiglia". Chi si riempie la bocca con le parole "famiglia naturale" non sa quello che dice e spera che non lo sappia chi l* ascolta.
Inoltre, Remotti insiste anche sul concetto di "autopoiesi", cioè del "farsi da sé". La struttura biologica non solo dell'uomo, ma anche di molti animali, è fortemente influenzata dalla cultura (l'esempio meno traumatico è dato dalla plasticità cerebrale), per cui si può dire che sì, ogni persona è frutto delle proprie scelte (il punto di vista dello psicologo), ma anche che ogni società produce i suoi uomini e le sue donne (il punto di vista dell'antropologo).
I riti di passaggio che hanno molte società servono appunto a rendere esplicito il ruolo della società nel produrre le sue donne ed i suoi uomini; questo fenomeno può avere anche il suo lato sinistro, in quanto i regimi dittatoriali del '900 vollero creare l'"uomo nuovo", ma c'è una differenza tra l'opera delle dittature e l'opera del rispetto.
La dittatura non ha riguardo alcuno per gli individui, ed è convinta che il suo modello di "uomo nuovo" sia perfetto; le altre società si rendono invece conto che il modello a cui si ispirano è criticabile e perfettibile, ed in esse l'individuo negozia ciò che diverrà - non è chiuso in un ruolo immutabile.
Dopo aver mostrato che ispirarsi ad una presunta natura umana nella vita sociale è impossibile (e per nostra fortuna), Remotti esamina brevemente la struttura della chiesa cattolica e della "Sacra Famiglia" che avrebbe dato vita terrena al suo fondatore. Non ci vuol molto a notare che la "Sacra Famiglia" è molto, molto insolita, e che la chiesa ambisce al monopolio di ciò che è eterno, anche nelle società di questo mondo. Secondo Remotti, la preferenza della chiesa per la famiglia nucleare è dovuta proprio alla fragilità e transitorietà di questo tipo di famiglia, mentre altre organizzazioni familiari possono durare come e più della casa reale giapponese, e rivaleggiare quindi con l'eternità dell'organizzazione ecclesiastica.
La diffidenza delle legislazioni moderne verso i patrimoni che non hanno mai occasione di dividersi ha quindi la sua fonte di ispirazione nel cristianesimo, così come molte altre caratteristiche della modernità.

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